ORIGINI...........
È in India che si fa risalire la pratica chirurgia estetica: nei testi sacri, i Veda vi sono riferimenti espliciti a tentativi di innesti cutanei per fini ricostruttivi. Era infatti pratica usuale l'amputazione del naso in seguito alla trasgressione di alcune leggi, e al tradimento del proprio marito da parte della donna. La tecnica utilizzata, definita per l'appunto metodo indiano, consisteva nel taglio di un lembo cutaneo sulla fronte del soggetto che veniva poi ruotato e modellato per costruire prima la punta del naso per poi dare spessore alla zona in prossimità delle ossa nasali. Il Sushruta Samhita, documento del chirurgo indiano Sushruta, è da considerarsi il primo vero trattato di chirurgia estetica. In esso, il medico descrive la ricostruzione dell'orecchio prelevando un lembo di guancia da inserire nella zona da ricostruire, con una procedura analoga alla ricostruzione nasale.
In Grecia, nel Corpus Hippocraticum, Ippocrate fa riferimento a deformità e malformazioni del volto, citando tecniche ricostruttive derivanti proprio dall’India.
Nell’antica Roma poi, due dei più grandi medici del tempo, Galeno e Celso, si interessarono di ricostruzioni a fini estetici, tra cui correzioni del labbro, interventi alle orecchie e al naso.
Con il crollo dell’impero romano la chirurgia, applicata nei campi di battaglia e sui gladiatori, ebbe una fase di stallo.
Fu nell’XI secolo, grazie all’intensificarsi dei rapporti tra Oriente e Occidente, che si avviò un sincretismo culturale che diede grandi risvolti in ambito medico. L’arrivo degli arabi nella penisola portò con sé anche l’arte e le tecniche mediche da loro praticate. La Scuola salernitana è forse da considerarsi l’esempio più emblematico di questo periodo di fusione del sapere medico arabo, latino, greco ed ebraico.
In questa fase la pratica medica era affidata alla classe religiosa. Erano i chierici coloro che si dedicavano a salassi, purghe, ascessi, rifacendosi all’antico spirito di carità, che in prima cosa doveva essere materiale. A partire dal XIII secolo però, al clero fu impedito di praticare l’arte chirurgica, ritenendo che quest’attività distogliesse i religiosi dalle loro pratiche quotidiane. Il Concilio di Reims del 1131 sancì ufficialmente questo impedimento, ribadito nuovamente da Innocenzo III con l’editto del 1215. La proibizione dell’attività chirurgica era dovuta in parte anche alla considerazione sociale che questa pratica aveva: in un bando di Firenze del 1574 venne stilata una scala gerarchica dei mestieri, in cui il chirurgo occupava uno dei gradini più bassi. Un altro motivo di rifiuto dell’attività chirurgica a fini ricostruttivi era dovuto al fatto che molti interventi di ricostruzione nasale andavano a coprire un comportamento sessuale immorale: uno dei segni dellasifilide infatti, era proprio la deturpazione del naso.
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