SMERAGLIA STYLE CLUB
Dopo il periodo di privazioni della guerra, gli anni Venti si aprono come una nuova epoca di benessere e ottimismo. La società è pervasa da un nuovo senso di libertà e speranza che porterà a chiamare questo decennio gli “Anni ruggenti”.
L’ideale di bellezza femminile cambia radicalmente: cade il mito della donna fatale e si afferma lagarçonne, cosiddetta dalla foggia dei capelli, che, per la prima volta nella storia, vengono tagliati corti, alla maschietta.
Ora la donna, come un’eterna adolescente, deve avere seno e vita inesistenti e fianchi stretti. Lo stereotipo della bellezza femminile ha una silhouette tabulare e forme stilizzate, tendenti alla bidimensionalità e all’essenzialità: corpo asciutto, magro, con caratteri androgini, asessuato. La donna ora conduce una vita più dinamica e comincia a praticare sport, sia per il benessere fisico che per migliorare l’aspetto. Se fino a questo momento nei canoni di bellezza femminile erano banditi i muscoli, indice di mascolinità o di lavoro manuale, e le forme dovevano essere morbide e rotonde, adesso anche nelle donne si comincia ad apprezzare il fisico atletico.
Le nuove icone di bellezza, senza curve, magre e mascoline, simboleggiano l’aspirazione all’uguaglianza e parità tra i sessi.
Alla fine degli anni Venti si scopre il piacere di una pelle femminile abbronzata, non più espressione di appartenenza ad una classe sociale inferiore, ma segno di salute e benessere fisico: Coco Chanel istiga le donne ad abbandonare l’ombrellino che proteggeva la pelle dai raggi solari, ad eliminare i guanti e ad accorciare le gonne.
A dettare i canoni della bellezza non sono più i pittori e gli scultori, ma le nascenti dive del cinema muto. L’icona degli anni Venti è sicuramente la leggendaria attrice Louise Brook: bellissima, di una bellezza ancora attuale, slanciata e longilinea, il prototipo perfetto della ragazza flapper, che si contraddistingue per l’indipendenza, l’anticonformismo, la capricciosa volubilità, e nell’aspetto fisico per una figura snella e quasi da ragazzo, sottolineata dal taglio corto dei capelli. La flapper è una donna scanzonata, trasgressiva, che ama le sigarette, il jazz, Coco Chanel e ha forme praticamente maschili, senza seno, senza fianchi, scattante, nervosa.
La donna raffinata ed elegante degli anni Trenta
In una società duramente provata dalle ripercussioni della crisi della Borsa americana del 1929, la “maschietta” degli anni Venti, con i capelli corti e gli abiti prèt -à- porter prodotti in taglia unica, viene considerata superata; torna l’ideale della donna sensuale, femminile ed elegante. Le donne sentono l’esigenza di rimettere in evidenza le loro forme.
Torna in auge la donna procace, mediterranea, “femmina”, incarnata dalle grandi dive di Hollywood, dalla sexy bombshell Jean Harlow alla “divina” Greta Garbo.
Altra icona dell’epoca è Marlene Dietrich, che incarna il ruolo della femme fatale, bellissima e sensuale, nonostante vesta spesso da uomo e non rinunci alla sigaretta in bocca.
Negli anni Trenta è di moda un incarnato bianco pallido; il viso è ad effetto “scavato”e gli zigomi ben evidenziati; la bocca, sempre rossa, è disegnata ad “uccello”: labbra superiori più grandi, arrotondate e quelle inferiori più piccole.
I capelli sono rigorosamente tinti, prevalentemente biondo platino.
La donna nel periodo fascista
Il regime fascista dedica al corpo della donna un’attenzione precisa e sistematica, tanto che si può parlare di una vera e propria politica del corpo.
La preoccupazione di Mussolini è quella di assicurare all’Italia una nuova stirpe, robusta, sana e forte. Questo spinge il duce a promuovere un programma salutistico-igienico rivolto prevalentemente alle donne, in quanto possibili madri e quindi prime responsabili del miglioramento della razza.
Il regime impone l’omologazione del modello femminile: la donna italiana deve avere forme prosperose e fianchi ampi, ed essere forte e robusta; solo così sarà una vera madre e una buona moglie, in grado cioè di occuparsi della casa e della famiglia.
La campagna contro la donna magra, pallida e sterile si apre ufficialmente nel 1931 quando il capo dell’Ufficio stampa di Mussolini ordina ai giornali di eliminare tutte le immagini che mostrano figure femminili snelle e dal piglio mascolino.
La magrezza femminile diventa un punto centrale nel dibattito sulla bellezza, tanto che Mussolini chiede ai medici di intervenire a difesa del “grasso”, contro la moda della magrezza.
La propaganda fascista continua ad associare salute e prolificità con le donne bene in carne, senza rendersi conto che la realtà femminile sta cambiando.
La donna degli anni Quaranta
Gli anni Quaranta sono un periodo di crisi e di grandi ristrettezze: si esce dalla Grande Depressione e si entra nella Seconda Guerra Mondiale, quindi il clima è di estrema austerità, anche in campo estetico.
Lo stereotipo femminile è quello della donna più in carne, evidente reazione alla cronica carenza di cibo che caratterizza questo periodo.
Durante la guerra iniziano a comparire su molte riviste degli Stati Uniti le prime pin-up, ragazze solitamente procaci ed ammiccanti. E’ proprio durante gli anni Quaranta che la donna raggiunge il top della femminilità e della sensualità.
L’icona di questi anni è Rita Hayworth: soprannominata “l’atomica” per le sue curve procaci, l’attrice dai fulvi capelli lunghi e ondulati, seducente e sensuale, fa impazzire milioni di uomini.
La maggiorata degli anni Cinquanta
Dalla fine della guerra si ritorna, abbastanza prevedibilmente, alla procacità e alla sensualità esplicite, evidente indizio della voglia di tornare al benessere.
La donna ideale ha fianchi tondi, seno esplosivo, gambe ben tornite: una donna in carne, che non si preoccupa delle diete o della cellulite e che rappresenta la speranza dopo la fame della guerra. E’ l’epoca delle “maggiorate”, il cui corpo è metafora del sogno di opulenza che vive l’Euopa e che si tradurrà nel boom economico.
Le misure seno-vita-fianchi 90-60-90 rappresentano la formula della bellezza degli anni Cinquanta: gambe lunghe, bellissimi fianchi e vita sottilissima sono il modello a cui ambisce ogni ragazza. A partire dal secondo dopoguerra è il cinema, soprattutto quello americano, a proporre i nuovi canoni estetici: le vamp biondo platino, tutte superdotate, sono le ispiratrici della moda, del look, dello stile di vita di donne di ogni ceto sociale.
Sicuramente le icone della femminilità e della sensualità degli anni Cinquanta sono Brigitte Bardot e Marilyn Monroe, con le loro curve procaci e la loro celebre forma “a clessidra”.
La donna grissino degli anni Sessanta e Settanta
Negli anni Sessanta avviene il più importante rinnovamento generazionale del Novecento: è il periodo della dolce vita, delle rivolte sociali, della contestazione giovanile e del femminismo. In questi anni si verifica un’altra grande rivoluzione estetica, che interesserà tutti gli anni Settanta: si afferma un nuovo modello femminile in totale controtendenza rispetto a quello del periodo precedente, ormai sentito come obsoleto e costrittivo.
Si diffonde la cultura dello sport e il fisico femminile da morbido e burroso diventa tonico e scattante. La donna moderna ora è giovane, un’eterna adolescente, allegra, spensierata, che non vuole più curarsi di apparire perfetta in società, ma che vuole stare al passo con i tempi, con le nuove forme artistiche; una ragazza agile e filiforme, di nuovo come la flapper degli anni Venti.
Negli anni Sessanta le figure si assottigliano, le gambe si scoprono, i capelli si tingono di biondo svedese e gli occhi si ingrandiscono con ciglia finte e pesanti passate di eyeliner.
L’estremizzazione della bellezza femminile verso canoni filiformi avviene con il successo della modella inglese Twiggy, magra ai limiti dell’anoressia. Con lei nasce la donna grissino.
A partire dagli anni Sessanta si affermano grandi novità nel costume e nella moda: i blue jeans trovano la prima grande diffusione tra i giovani e si afferma la minigonna, creazione della geniale stilista Mary Quant.
Altra icona dell’epoca è Audrey Hepburn, la diva bon ton per eccellenza, che, con la sua eleganza sobria e raffinata e il suo fisico longilineo e filiforme, incarna tutti i codici estetici e stilistici degli anni Sessanta e li interpreta sempre con un tocco personalissimo.
La donna negli ultimi decenni del Novecento
Gli anni Ottanta vedono un rinnovato amore per le forme: ritornano le canoniche misure 90-60-90 e si ha un nuovo boom di seni esuberanti e di curve procaci, ancora una volta abbinati al vitino sottile. Tutte le icone cinematografiche e televisive assomigliano alla statuaria Barbie: seno prosperoso, gambe slanciate, vitino di vespa, ventre piatto e sguardo ammaliante. Simbolo incontrastato di questo revival delle forme rotondeggianti è Cindy Crawford, la modella che ha sfilato per i più importanti stilisti del mondo.
Dopo la parentesi degli anni Ottanta, che hanno rivalutato la donna formosa, a partire dagli inizi degli anni Novanta il modello della pin up viene di nuovo archiviato e si afferma un nuovo trend, destinato in breve tempo ad offuscare le bellezze dell’epoca e che rimarrà in auge fino al primo decennio del XXI secolo.
Nel 1990 viene offerto a Kate Moss il primo incarico come modella: assistiamo ancora una volta al “lato magro” dell’altalena del fisico femminile nella storia.
Pallida, con gli occhi cerchiati, Kate Moss inaugura la bellezza minimale degli anni Novanta, un indiscusso canone estetico ancora oggi in auge.
Si afferma la magrezza femminile come ideale sia estetico che morale poiché al corpo esile e scattante vengono attribuiti valori quali ambizione, organizzazione, potere, autoaffermazione sociale.
LA DONNA NEL TERZO MILLENNIO
E’ a partire dal terzo millennio che la bellezza diventa sinonimo di magrezza e le donne aspirano ad essere sempre più leggere e androgine.
Il cambiamento dello stereotipo femminile arriva insieme al nuovo ruolo della donna che, da madre e moglie, si lancia nella carriera, iniziando a competere con l’uomo sul lavoro, nella ricerca del potere e del successo.
Ciò che più caratterizza la nostra era è l’attenzione quasi morbosa al corpo: è il corpo al centro dell’interesse e non la persona; non conta tanto essere quanto apparire, all’essenza viene sostituita l’apparenza, alla spontaneità il controllo.
L’ “essere in forma” è oggi un imperativo categorico, poiché un fisico longilineo, liscio e levigato non dà solo l’idea del bello ma anche dell’essere sano.
Oggi, come nel passato, l’immagine della bellezza continua ad essere condizionata dal contesto sociale. E poiché oggi il nostro stile di vita richiede efficienza, dinamismo, produttività e iperattività, la corporeità femminile deve rispondere ai canoni di snellezza, altezza, fino a sfociare nella magrezza eccessiva. E così la donna, anziché coltivare e valorizzare la propria unicità, sempre più tende ad aderire passivamente a standard globalizzati, incentrati sull’omologazione dell’aspetto fisico, senza rendersi conto di essere vittima della sindrome di identificazione con la collettività, ovvero di una forma di mimetismo estetico, omologato e socialmente compatibile.
Il bombardamento mediatico
Nell’attuale società globalizzata, il successo è strettamente collegato all’immagine, un’immagine ben determinata dai modelli proposti continuamente dai mass media, intimamente radicati nell’immaginario collettivo e adottati come standard sociali.
La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere i ben noti stereotipi.
I messaggi sono indiretti, ma fin troppo chiari: “Se sei magra, puoi essere felice, popolare, avere successo in tutti i campi, dall’amore al lavoro”. L’ideale della magrezza, dunque, non assume solo un significato estetico, ma è associato a valori più profondi, all’apprezzamento e all’accettazione sociale.
La formula “non si è mai abbastanza ricchi o abbastanza magri” è una vera e propria epidemia che minaccia il benessere mentale di molte persone.
La principale regola, dunque, è che essere belle significa essere magre, esili, slanciate.
Il bombardamento mediatico, indirizzato soprattutto alle donne, non fa che proporre corpi
seducenti, plastici e perfetti. L’immagine della donna che i mass media diffondono non è il ritratto di una condizione reale, ma la rappresentazione simbolica di un modello che segue ideali e aspirazioni collettive, ma che risulta impossibile da raggiungere.
Sono dunque i modelli fuorvianti proposti dai media che hanno portato alla ricerca ossessiva della “forma perfetta”. Ma la responsabilità deve essere attribuita alla società nel suo insieme, una società massificata che tende ad azzerare l’unicità dell’essere, la sua individualità e la bellezza della diversità.
Lo stereotipo della modella
Oggi è soprattutto il sistema di consumo della moda che costruisce, attraverso le modelle, gli stereotipi della bellezza femminile.
Le top-model sono le nuove dive che, come le grandi attrici della vecchia Hollywood, pur lontane dal pubblico, irraggiungibili, sono da tutti conosciute, ammirate e imitate.
Dal 2000 in poi la moda ha diffuso un modello di donna sempre più esile e sottile, probabilmente in relazione alla necessità di far risaltare il vestito rispetto alla modella: dopo le super top-model degli anni Ottanta, le modelle sono diventate sempre più magre e, tranne poche eccezioni, sempre più anonime: vere e proprie “grucce”, adatte ad indossare
qualsiasi vestito.
Altissime, sottilissime, elegantissime, le modelle incarnano l’ideale estetico della maggior parte delle ragazze di oggi: è questo il modello che le riviste patinate femminili forniscono come simbolo della donna di successo, della donna che ha vinto nella vita.
Si tratta di un input culturale molto forte che poi si somma ai numerosi altri da cui siamo giornalmente bersagliati e che vanno tutti nella stessa direzione : quel che conta nella vita è essere perfette, bellissime, vincenti.
Oggi nelle riviste di moda vengono mostrate solo immagini stereotipate di corpi femminili magri e tonici, che rispecchiano i canoni di bellezza corrente. Le immagini vengono spesso modificate con il fotoritocco per renderle più belle e conformi all’ ideale di perfezione odierno.
Che gli stilisti siano responsabili dell’innegabile involuzione del modello di bellezza femminile è un dato inconfutabile: è indubbio che loro, i “maestri del gusto”, insieme alle nuove fogge, stoffe, colori, propongano, con troppa noncuranza e talvolta irresponsabilità, un’idea di donna in cui bellezza è sinonimo di magrezza estrema e perfezione aritmetica delle misure del corpo femminile.
Del resto già quaranta anni fa l’indimenticabile Brigitte Bardot rivolgeva alle donne un monito sferzante: “Donne, diffidate degli stilisti: detestano il corpo femminile e vogliono costringerlo a somigliare a quello dei giovani maschi da loro prediletti”.
E da quella sopraffazione è nato un modello di pseudo bellezza che ha inferiorizzato la donna, gettandola in una guerra perpetua e perpetuamente perduta con il suo stesso corpo.
La bellezza-magrezza a tutti i costi
L’attuale società occidentale, sempre più fondata sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità, espone insistentemente la popolazione ad un ideale estetico di magrezza e all’illusione che esso sia raggiungibile con un minimo sforzo.
La magrezza, esibita, fotografata e photoshoppata, è diventata un imperativo etico. La globalizzazione promuove il modello idealizzato occidentale della donna magra come obiettivo a cui uniformarsi. Essere magre, toniche ed in forma rappresenta l’ambizione di tutte le donne, giovani e meno giovani: tutte aspirano ad un corpo perfetto, in linea con la moda e la tendenza.
L’ideale di bellezza standardizzato e irrealistico, che esalta la perfezione e demonizza il grasso, costringe le donne ad un continuo automonitoraggio del proprio fisico e a pratiche per modellarlo.
La cosiddetta “dismorfofobia”, cioè l’errata valutazione della propria immagine e l’incapacità di valutare in modo oggettivo la propria fisicità, spinge le donne a ricercare soluzioni drastiche a problemi spesso inesistenti ma reali per il loro modo di pensare e percepire se stesse ed il proprio corpo.