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domenica 17 novembre 2013

cellulite............

la nuova scoperta


Scoperte in Italia le cause della trasformazione del tessuto adiposo sottocutaneo nella cosiddetta “cellulite”. Lo studio, condotto da una equipe di ricerca guidata dal Prof. Pasquale Motolese docente presso l’Università di Ferrara e pubblicato sull’European Journal of Aesthetic Medicine and Dermatology, ha messo in evidenza la presenza di ferro nel tessuto adiposo superficiale.
Il ferro, uno ione metallico utilissimo e necessario per la vita, svolge la funzione di legare e trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti periferici ed è generalmente contenuto nell’emoglobina.
Il ciclico rallentamento del flusso venoso, particolarmente a livello degli arti inferiori dei soggetti di sesso femminile, legato alla increzione di progesterone nella seconda fase del ciclo ovulatorio, determina un aumento della permeabilità delle pareti venose con passaggio di trasudato liquido nel tessuto adiposo, fenomeno comune ed indicato con il termine popolare di “ritenzione idrica”.
L’aumento di permeabilità del microcircolo superficiale posta anche ad un passaggio di ioni di ferro presenti nel plasma i quali si dislocano nelle aree periva scolari del tessuto adiposo.
Il ferro, di fondamentale utilità nel sangue, una volta dislocato nei tessuto diventa fortemente tossico determinando una perossidazione dei lipidi delle membrane cellulari ma anche di alcuni organuli intracellulari quali lisosomi e mitocondri portando ad una sofferenza tissutale.
I processi riparativi e di difesa messi in atto dal tessuto adiposo porterebbero alla tipica trasformazione fibrotica ed a una disorganizzazione morfo-architettonica del tessuto adiposo superficiale determinando nel tempo la comparsa delle note stigmate tipiche della cosiddetta cellulite ed un alterazione del profilo corporeo tanto temuto dalle donne.
Lo studio, effettuato attraverso esami istologici e particolari colorazioni del preparato per la microscopia, è stato ispirato da una analogia fisiopatologica, intuita dal prof. Motolese, con alcuni momenti fisiopatologici tipici delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale quali sindrome di Alzheimer e Sclerosi Multipla nelle quali è ampiamente descritta nella letteratura scientifica uno stravaso di ferro nel tessuto nervoso di ioni ferrici per aumentata permeabilità vascolare con deterioramento anatomo-funzionale del tessuto neuronale.
Il risultati dello studio condotto dallo scienziato italiano, presentato a Novembre al Congresso Internazionale dell’International Society of Dermatologic Surgery a Heidelberg in Germania e più recentemente al Congresso di Medicina e Chirurgia Estetica di Bologna ha suscitato particolare scalpore tra gli addetti ai lavori, aprendo la strada verso nuove possibilità terapeutiche anche se di difficilissima attuazione come dichiarato dallo stesso Motolese anche e soprattutto per la ciclica ripresentazione della stasi e della iperpermeabilità vascolare legata al ciclo sessuale femminile dalla pubertà alla menopausa.
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sabato 9 novembre 2013

FALLOPLASTICA UNO DEI TRATTAMENTI PIU' GETTONATI DEGLI ULTIMI ANNI...............


Allungamento e ingrossamento del pene...................


Che si tratti di esigenze di natura funzionale o di una più psicologica “sindrome da spogliatoio”, quel che è certo è che l’interesse maschile per il mondo dellafalloplastica non solo non sembra essersi affievolito nel corso degli ultimi anni, ma risulta addirittura essere aumentato in maniera considerevole.
Ma in che modo è possibile migliorare l’aspetto e le dimensioni del proprio penericorrendo agli abili ferri del chirurgo plastico?
Fondamentalmente, la tecnica più utilizzata a livello internazionale è sicuramente quella dell’innesto dimatrice di derma collagene liofilizzato, coltivato artificialmente in laboratorio. Essendo tale sostanza simile per il 99 per cento al tessuto cavernoso del pene, risulta essere sostanzialmente azzerato il rischio di rigetto.
L’operazione prevede l’innesto di un foglietto di derma sopra il fascio cavernoso, finalizzato a ingrandire del 25 – 30% la circonferenza del pene. Il foglietto di derma verrà appoggiato sopra il fascio e fissato con micropunti di sutura autoassorbenti.
Chi invece desidera provvedere a un’operazione di allungamento del pene, è bene che si renda conto che i risultati non potranno in nessun caso essere superiori a una crescita di 2-5 cm. In questa ipotesi, l’operazione è compiuta incidendo il legamento sospensore pubo-penieno, mediante il quale si ottiene una estensione in avanti del membro e un conseguente allungamento.
L’intervento viene oggi effettuato con un laser di ultima generazione in grado di ridurre al minimo il dolore e le perdite di sangue. Tra i principali effetti collaterali di tale ultimo intervento vi è senza dubbio la c.d. “retrazione cicatriziale” del legamento stesso, ovvero la cicatrizzazione spontanea del legamento nei giorni successivi all’intervento: una “disdetta”, visto e considerato che con il risaldamento si vanificano gli sforzi chirurgici.
Si noti altresì che spesso le due procedure (ingrossamento e allungamento) vengono effettuate contemporaneamente: tuttavia, gli esperti consigliano i pazienti interessati di procedere separamente ai due interventi, al fine di massimizzare i buoni risultati
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LASERLIPOLISI-

Cosa è la laserlipolisi.......................???



LO SPIEGA LA DOTTORESSA CONCETTA BATTIPAGLIA.


La laserlipolisi è una tecnica che viene utilizzata per poter aspirare il grasso superficiale, contribuendo in tal modo a migliorare l’aspetto e la linea del proprio corpo. Mediante la laserlipolisi è infatti possibile integrare i benefici della classicalipoaspirazione per il grasso più profondo, e la laserlipo (cioè l’utilizzo del laser) per quanto attiene il grasso superficiale.
In altri termini, attraverso l’adozione sinergica di queste tecniche viene annullata la complicazione legata all’utilizzo del laser (ustioni e disturbi alla cute), fruendo solamente dei benefici collegati ad esso (la retrazione).
La laserlipolisi è inoltre un trattamento che può essere utilizzato da qualsiasi paziente – purchè in buone condizioni di salute – e può essere praticato in ampie aree del corpo (dal collo alle braccia, dall’addome al dorso, dal torace alle gambe). Ad oggi questa tecnica è ampiamente sperimentata anche in Italia, con ottimi risultati che verranno presentati nel corso del Congresso nazionale di chirurgia plastica, in programma tra pochi giorni a Bari.
Oltre a quanto già espresso, ulteriore vantaggio della laserlipolisi per il paziente consiste nell’utilizzo di un’anestesia locale che riduce i tempi di recupero post operatorio, agevolando il ritorno all’attività lavorativa, che potrà essere ripresa già dopo appena due giorni.
Infine, stando alle ammissioni dei medici che stanno adoperando questo sistema, i pazienti che ricorrono alla laserlipolisi sono soprattutto utenti che richiedono trattamenti poco invasivi, che permettano la ripresa della consueta attività sociale in tempi brevi. In altre parole, sarebbe definitivamente (o temporaneamente) terminata l’epoca delle grosse aspirazioni che obbligavano ad utilizzare guaine complessive per un mese dopo l’intervento, così come sembrerebbe essere perlomeno sospesa l’epoca dei grandi lifting del viso. A prevalere sono oggi le punture di botulino, l’acido ialuronico, i rivitalizzati e i PRP, oltre ai laser frazionati, il trattamento epilatorio definitivo, il vascolare e il Q-switch per rimuovere macchie e tatuaggi.
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domenica 20 ottobre 2013

baking...........

Arriva il banking: chirurgia plastica


Il riferimento è semmai alla conservazione, poiché il banking è in realtà la tecnica di conservazione del grasso corporeo nel tempo tramite la crio conservazionein vapori di azoto libero a quasi – 200 °C.
Una tecnica che – con costi sostanzialmente molto contenuti – permetterà ai pazienti di poter conservare il grasso in eccesso, che potrebbe essere utilizzato per interventi di chirurgia plastica futuri.
Cerchiamo quindi di comprendere in che modo funziona questa ennesima innovazione compiuta dalla medicina estetica, e quali applicazioni potrebbe avere anche nel nostro Paese. 
Il meccanismo è piuttosto semplice, almeno a parole: dopo aver effettuato un intervento di liposuzione, l’adipe in eccesso viene custodito in apposite “banche” (di qui il nome di “banking”) pronto per poter essere riutilizzato in futuro per un riempimento del seno, oppure per un filler anti-rughe.
In questo modo, il grasso corporeo può essere utilizzato in differenti “spazi” e in differenti “tempi”, senza pregiudizi per il paziente che decide di sottoporsi all’intervento, e senza alcun rischio di rigetto.
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lunedì 16 settembre 2013

AUTOTRAPIANTO CON IL ROBOT......DOTTORESSA CONCETTA BATTIPAGLIA

Niente suture o cicatrici lineari, invasività minima, nessun dolore, tempi di recupero rapidi, 'capigliatura' finale naturale, risultati permanenti e "a prova di barbiere". Svolta per chi combatte contro la calvizie: arriva in Italia  l'innovativo sistema "Artas", frutto di otto anni di ricerca e sviluppo negli Stati Uniti. Rigorosamente testato, è stato approvato dall'ente di controllo statunitense FDA e dagli altri principali organismi internazionali di regolazione.
cerruti
A importarlo nel nostro paese è Ab medica, la maggiore azienda privata Italiana di chirurgia robotica e apparecchiature bio medicali, in collaborazione con Restoration Robotics, la società californiana detentrice di tecnologie uniche a livello mondiale per il trapianto dei capelli. "Questo è il primo sistema robotico per l'autotrapianto di capelli, che posizione l'Italia prima in Europa insieme alla Gran Bretagna", spiega Francesca Cerruti, consigliere delegato di AB Medica(nella foto a sinistra). "L'utilizzo di un robot comporta due novità fondamentali: una fase di analisi precisa e approfondita prima dlel'intervento e una raccolta delle unità follicolari migliori, che vengono scelte con più accuratezza di quanto potrebbe fare un occhio umano".
COME FUNZIONA - Gli algoritmi di "Artas" permettono di mappare l'area donatrice del paziente e di impostare l'allineamento, l'angolazione e la profondità per la raccolta di ogni singola unità bulbare. Si determina così la densità e la distribuzione dei follicoli, aggiornando i parametri 50 volte al secondo e riportando sul monitor ogni unità prelevata. Artas estrae con precisione non eguagliabile i follicoli, in modo omogeneo e volutamente casuale. Li divide, poi, in 1 / 2 / 3 / 4 capelli, con un'accuratezza che arriva sino a centinaia di migliaia di volte per seduta; lasciandoli intatti, consente di preservarne la vitalità, pronti per essere trasferiti alla zona individuata per l'innesto. Nonostante tecnologie così sofisticate, tutta la procedura all'apparenza avviene in modo molto semplice, a livello ambulatoriale e in un paio d'ore, con anestesia locale. 
 
trapianto capelli 2
trapianto capelli 4
Ab medica è la maggiore azienda privata Italiana nel settore della chirurgia robotica e dei prodotti biomedicali. Fondata nel 1984, con sede principale a Lainate (MI), Ab medica ha un fatturato di oltre 100 milioni di euro e più di 180 dipendenti, tutti assunti a tempo indeterminato. Sempre maggiore importanza riveste l'attività di ricerca e sviluppo, con rilevanti progetti e soluzioni in ambiti come la genomica, l'ingegneria tissutale e le cellule staminali, unitamente all'intensificarsi delle relazioni con università, centri di ricerca e laboratori scientifici internazionali. In forte crescita anche la presenza sui mercati esteri. Ab medica ha recentemente acquisito Telbios, società leader nei servizi di telemedicina e Aethra, attiva nei sistemi di telecomunicazione evoluta.

LA SUBLIME BELLEZZA....LA NOSTRA STORIA.........SMERAGLIA STYLE CLUB



SMERAGLIA STYLE CLUB

Dopo il periodo di privazioni della guerra, gli anni Venti si aprono come una nuova epoca di benessere e ottimismo. La società è pervasa da un nuovo senso di libertà e speranza che porterà a chiamare questo decennio gli “Anni ruggenti”.
L’ideale di bellezza femminile cambia radicalmente: cade il mito della donna fatale e si afferma lagarçonne, cosiddetta dalla foggia dei capelli, che, per la prima volta nella storia, vengono tagliati corti, alla maschietta.
                          
Ora la donna, come un’eterna adolescente, deve avere seno e vita inesistenti e fianchi stretti. Lo stereotipo della bellezza femminile ha una silhouette tabulare e forme stilizzate, tendenti alla bidimensionalità e all’essenzialità: corpo asciutto, magro, con caratteri androgini, asessuato. La donna ora conduce una vita più dinamica e comincia a praticare sport, sia per il benessere fisico che per migliorare l’aspetto. Se fino a questo momento nei canoni di bellezza femminile erano banditi i muscoli, indice di mascolinità o di lavoro manuale, e le forme dovevano essere morbide e rotonde, adesso anche nelle donne si comincia ad apprezzare il fisico atletico.
Le nuove icone di bellezza, senza curve, magre e mascoline, simboleggiano l’aspirazione all’uguaglianza e parità tra i sessi. 
Alla fine degli anni Venti si scopre il piacere di una pelle femminile abbronzata, non più espressione di appartenenza ad una classe sociale inferiore, ma segno di salute e benessere fisico: Coco Chanel istiga le donne ad abbandonare l’ombrellino che proteggeva la pelle dai raggi solari, ad eliminare i guanti e ad accorciare le gonne.
A dettare i canoni della bellezza non sono più i pittori e gli scultori, ma le nascenti dive del cinema muto. L’icona degli anni Venti è sicuramente la leggendaria attrice Louise Brook: bellissima, di una bellezza ancora attuale, slanciata e longilinea, il prototipo perfetto della ragazza flapper, che si contraddistingue per l’indipendenza, l’anticonformismo, la capricciosa volubilità, e nell’aspetto fisico per una figura snella e quasi da ragazzo, sottolineata dal taglio corto dei capelli. La flapper è una donna scanzonata, trasgressiva, che ama le sigarette, il jazz, Coco Chanel e ha forme praticamente maschili, senza seno, senza fianchi, scattante, nervosa.
La donna raffinata ed elegante degli anni Trenta

In una società duramente provata dalle ripercussioni della crisi della Borsa americana del 1929, la “maschietta” degli anni Venti, con i capelli corti e gli abiti prèt -à- porter  prodotti in taglia unica, viene considerata superata; torna l’ideale della donna sensuale, femminile ed elegante. Le donne sentono l’esigenza di rimettere in evidenza le loro forme.
 Torna in auge la donna procace, mediterranea, “femmina”, incarnata dalle grandi dive di Hollywood, dalla sexy bombshell Jean Harlow alla “divina” Greta Garbo.
                                      
 Altra icona dell’epoca è Marlene Dietrich, che incarna il ruolo della femme fatale,  bellissima e sensuale, nonostante vesta spesso da uomo e non rinunci alla sigaretta in bocca.
Negli anni Trenta è di moda un incarnato bianco pallido; il viso è ad effetto “scavato”e gli zigomi ben evidenziati; la bocca, sempre rossa, è disegnata ad “uccello”: labbra superiori più grandi, arrotondate e quelle inferiori più piccole.
I capelli sono rigorosamente tinti, prevalentemente biondo platino.

 La donna nel periodo fascista

Il regime fascista dedica al corpo della donna un’attenzione precisa e sistematica, tanto che si può parlare di una vera e propria politica del corpo.
  La preoccupazione di Mussolini è quella di assicurare all’Italia una nuova stirpe, robusta, sana e forte. Questo spinge il duce a promuovere un programma salutistico-igienico rivolto prevalentemente alle donne, in quanto possibili madri e quindi prime responsabili del miglioramento della razza.
Il regime impone l’omologazione del modello femminile: la donna italiana deve avere forme prosperose e fianchi ampi, ed essere forte e robusta; solo così sarà una vera madre e una buona moglie, in grado cioè di occuparsi della casa e della famiglia.
La campagna contro la donna magra, pallida e sterile si apre ufficialmente nel 1931 quando il capo dell’Ufficio stampa di Mussolini ordina ai giornali di eliminare tutte le immagini che mostrano figure femminili snelle e dal piglio mascolino.
La magrezza femminile diventa un punto centrale nel dibattito sulla bellezza, tanto che Mussolini chiede ai medici di intervenire a difesa del “grasso”, contro la moda della magrezza.
La propaganda fascista continua ad associare salute e prolificità con le donne bene in carne, senza rendersi conto che la realtà femminile sta cambiando.

 La donna degli anni Quaranta

Gli anni Quaranta sono un periodo di crisi e di grandi ristrettezze: si esce dalla Grande Depressione e si entra nella Seconda Guerra Mondiale, quindi il clima è di estrema austerità, anche in campo estetico.
Lo stereotipo femminile è quello della donna più in carne, evidente reazione alla cronica carenza di cibo che caratterizza questo periodo.
 Durante la guerra iniziano a comparire su molte riviste degli Stati Uniti le prime pin-up, ragazze solitamente procaci ed ammiccanti. E’ proprio durante gli anni Quaranta che la donna raggiunge il top della femminilità e della sensualità.
                                
L’icona di questi anni è Rita Hayworth: soprannominata “l’atomica” per le sue curve procaci, l’attrice dai fulvi capelli lunghi e ondulati, seducente e sensuale, fa impazzire milioni di uomini.

 La maggiorata degli anni Cinquanta

Dalla fine della guerra si ritorna, abbastanza prevedibilmente, alla procacità e alla sensualità esplicite, evidente indizio della voglia di tornare al benessere.
 La donna ideale ha fianchi tondi, seno esplosivo, gambe ben tornite: una donna in carne, che non si preoccupa delle diete o della cellulite e che rappresenta la speranza dopo la fame della guerra. E’ l’epoca delle “maggiorate”, il cui corpo è metafora del sogno di opulenza che vive l’Euopa e che si tradurrà nel boom economico.
 Le misure seno-vita-fianchi 90-60-90 rappresentano la formula della bellezza degli anni Cinquanta: gambe lunghe, bellissimi fianchi e vita sottilissima sono il modello a cui ambisce ogni ragazza. A partire dal secondo dopoguerra è il cinema, soprattutto quello americano, a proporre i nuovi canoni estetici: le vamp biondo platino, tutte superdotate, sono le ispiratrici della  moda, del look, dello stile di vita di donne di ogni ceto sociale.
Sicuramente le icone della femminilità e della sensualità degli anni Cinquanta sono Brigitte Bardot e Marilyn Monroe, con le loro curve procaci e la loro celebre forma “a clessidra”.

 La donna grissino degli anni Sessanta e Settanta

Negli anni Sessanta avviene il più importante rinnovamento generazionale del Novecento: è il periodo della dolce vita, delle rivolte sociali, della contestazione giovanile e del femminismo. In questi anni si verifica un’altra grande rivoluzione estetica, che interesserà tutti gli anni Settanta: si afferma un nuovo modello femminile in totale controtendenza rispetto a quello del periodo precedente, ormai sentito come obsoleto e costrittivo.
Si diffonde la cultura dello sport e il fisico femminile da morbido e burroso diventa tonico e scattante. La donna moderna ora è giovane, un’eterna adolescente, allegra, spensierata, che non vuole più curarsi di apparire perfetta in società, ma che vuole stare al passo con i tempi, con le nuove forme artistiche; una ragazza agile e filiforme, di nuovo come la flapper degli anni Venti.
Negli anni Sessanta le figure si assottigliano, le gambe si scoprono, i capelli si tingono di biondo svedese e gli occhi si ingrandiscono con ciglia finte e pesanti passate di eyeliner.
L’estremizzazione della bellezza femminile verso canoni filiformi avviene con il successo della modella inglese Twiggy, magra ai limiti dell’anoressia. Con lei nasce la donna grissino.
A partire dagli anni Sessanta si affermano grandi novità nel costume e nella moda: i blue jeans trovano la prima grande diffusione tra i giovani e si afferma la minigonna, creazione della geniale  stilista Mary Quant.
Altra icona dell’epoca è Audrey Hepburn, la diva bon ton per eccellenza, che, con la sua eleganza sobria e raffinata e il suo fisico longilineo e filiforme, incarna tutti i codici estetici e stilistici degli anni Sessanta e li interpreta sempre con un tocco personalissimo.
 
 La donna negli ultimi decenni del Novecento

Gli anni Ottanta vedono un rinnovato amore per le forme: ritornano le canoniche misure  90-60-90 e si ha un nuovo boom di seni esuberanti e di curve procaci, ancora una volta abbinati al vitino sottile. Tutte le icone cinematografiche e televisive assomigliano alla statuaria Barbie: seno prosperoso, gambe slanciate, vitino di vespa, ventre piatto e sguardo ammaliante. Simbolo incontrastato di questo revival delle forme rotondeggianti è Cindy Crawford, la modella che ha sfilato  per i più importanti stilisti del mondo.
Dopo la parentesi degli anni Ottanta, che hanno rivalutato la donna formosa, a partire dagli inizi degli anni Novanta il modello della pin up viene di nuovo archiviato e si afferma un nuovo trend, destinato in breve tempo ad offuscare le bellezze dell’epoca e che rimarrà in auge fino al primo decennio del XXI secolo.
Nel 1990 viene offerto a Kate Moss il primo incarico come modella: assistiamo ancora una volta  al “lato magro” dell’altalena del fisico femminile nella storia.
Pallida, con gli occhi cerchiati, Kate Moss inaugura la bellezza minimale degli anni Novanta, un indiscusso canone estetico ancora oggi in auge.
Si afferma la magrezza femminile come ideale sia estetico che morale poiché al corpo esile e scattante vengono attribuiti valori quali ambizione, organizzazione, potere, autoaffermazione sociale.

LA DONNA NEL TERZO MILLENNIO


E’ a partire dal terzo millennio che la bellezza diventa sinonimo di magrezza e le donne aspirano ad essere sempre più leggere e androgine.
Il cambiamento dello stereotipo femminile arriva insieme al nuovo ruolo della donna che, da madre e moglie, si lancia nella carriera, iniziando a competere con l’uomo sul lavoro, nella ricerca del potere e del successo.
Ciò che più caratterizza la nostra era è l’attenzione quasi morbosa al corpo: è il corpo al centro dell’interesse e non la persona; non conta tanto essere quanto apparire, all’essenza viene sostituita l’apparenza, alla spontaneità il controllo.
L’ “essere in forma” è oggi un imperativo categorico, poiché un fisico longilineo, liscio e levigato non dà solo l’idea del bello ma anche dell’essere sano.
Oggi, come nel passato, l’immagine della bellezza continua ad essere condizionata dal contesto sociale. E poiché oggi il nostro stile di vita richiede efficienza, dinamismo, produttività e iperattività, la corporeità femminile deve rispondere ai canoni di snellezza, altezza, fino a sfociare nella magrezza eccessiva.  E così la donna, anziché coltivare e valorizzare la propria unicità, sempre più tende ad aderire passivamente a standard globalizzati, incentrati sull’omologazione dell’aspetto fisico, senza rendersi conto di  essere vittima della sindrome di identificazione con la collettività, ovvero di una forma di mimetismo estetico, omologato e socialmente compatibile.

 Il bombardamento mediatico

Nell’attuale società globalizzata, il successo è strettamente collegato all’immagine, un’immagine ben determinata dai modelli proposti continuamente dai mass media, intimamente radicati nell’immaginario collettivo e adottati come standard sociali.
La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere i ben noti stereotipi.
I messaggi sono indiretti, ma fin troppo chiari: “Se sei magra, puoi essere felice, popolare, avere successo in tutti i campi, dall’amore al lavoro”. L’ideale della magrezza, dunque,  non assume solo un significato estetico, ma è associato a valori più profondi, all’apprezzamento e all’accettazione sociale.
La formula “non si è mai abbastanza ricchi o abbastanza magri” è una vera e propria epidemia che minaccia il benessere mentale di molte persone.
La principale regola, dunque, è che essere belle significa essere magre, esili, slanciate.
Il bombardamento mediatico, indirizzato soprattutto alle donne, non fa che proporre corpi
seducenti, plastici e perfetti. L’immagine della donna che i mass media diffondono non è il ritratto di una condizione reale, ma la rappresentazione simbolica di un modello che segue ideali e aspirazioni collettive, ma che risulta impossibile da raggiungere.
Sono dunque i modelli fuorvianti proposti dai media che hanno portato alla ricerca ossessiva della “forma perfetta”. Ma la responsabilità deve essere attribuita alla società nel suo insieme, una società massificata che tende ad azzerare l’unicità dell’essere, la sua individualità e la bellezza della diversità.

Lo stereotipo della modella

Oggi è soprattutto il sistema di consumo della moda che costruisce, attraverso le modelle, gli stereotipi della bellezza femminile.
Le top-model sono le nuove dive che, come le grandi attrici della vecchia Hollywood, pur lontane dal pubblico, irraggiungibili, sono da tutti conosciute, ammirate e imitate.
Dal 2000 in poi la moda ha diffuso un modello di donna sempre più esile e sottile, probabilmente in relazione alla necessità di far risaltare il vestito rispetto alla modella: dopo le super top-model degli anni Ottanta, le modelle sono diventate sempre più magre e, tranne poche eccezioni, sempre più anonime: vere e proprie “grucce”, adatte ad indossare
qualsiasi vestito.
Altissime, sottilissime, elegantissime, le modelle incarnano l’ideale estetico della maggior  parte delle ragazze di oggi: è questo il modello che le riviste patinate femminili forniscono come simbolo della donna di successo, della donna che ha vinto nella vita.
Si tratta di un input culturale molto forte che poi si somma ai numerosi altri da cui siamo giornalmente bersagliati e che vanno tutti nella stessa direzione : quel che conta nella vita è essere perfette, bellissime, vincenti.
Oggi nelle riviste di moda vengono mostrate solo immagini stereotipate di corpi femminili magri e tonici, che rispecchiano i canoni di bellezza corrente. Le immagini vengono spesso modificate con il fotoritocco per renderle più belle e conformi all’ ideale di perfezione odierno.
Che gli stilisti siano responsabili dell’innegabile involuzione del modello di bellezza femminile è un dato inconfutabile: è indubbio che loro, i “maestri del gusto”, insieme alle nuove fogge, stoffe, colori, propongano, con troppa noncuranza e talvolta irresponsabilità, un’idea di donna in cui bellezza è sinonimo di magrezza estrema e perfezione aritmetica delle misure del corpo femminile.
Del resto già quaranta anni fa l’indimenticabile Brigitte Bardot rivolgeva alle donne un monito sferzante: “Donne, diffidate degli stilisti: detestano il corpo femminile e vogliono costringerlo a somigliare a quello dei giovani maschi da loro prediletti”.
 E da quella sopraffazione è nato un modello di pseudo bellezza che ha inferiorizzato la donna, gettandola in una guerra perpetua e perpetuamente perduta con il suo stesso corpo.

 La bellezza-magrezza a tutti i costi

L’attuale società occidentale, sempre più fondata sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità, espone insistentemente la popolazione ad un ideale estetico di magrezza e all’illusione che esso sia raggiungibile con un minimo sforzo.
La magrezza, esibita, fotografata e photoshoppata, è diventata un imperativo etico. La globalizzazione promuove il modello idealizzato occidentale della donna magra come obiettivo a cui uniformarsi. Essere magre, toniche ed in forma rappresenta l’ambizione di tutte le donne, giovani e meno giovani: tutte aspirano ad un corpo perfetto, in linea con la moda e la tendenza.
L’ideale di bellezza standardizzato e irrealistico, che esalta la perfezione e demonizza il grasso, costringe le donne ad un continuo automonitoraggio del proprio fisico e a pratiche per modellarlo.
La cosiddetta “dismorfofobia”, cioè l’errata valutazione della propria immagine e l’incapacità di valutare in modo oggettivo la propria fisicità, spinge le donne a ricercare soluzioni drastiche a problemi spesso inesistenti ma reali per il loro modo di pensare e percepire se stesse ed il proprio corpo.